Informazioni Museo Archeologico

Piazza della Santissima Annunziata, 9b, 50121 Firenze FI

INFORMAZIONI

Il Museo archeologico nazionale di Firenze si trova nel Palazzo della Crocetta che risale al 1619-21, quando Giulio Parigi, su disposizione di Cosimo II, ristrutturando e ampliando alcuni immobili dei Medici, ne fece la residenza della principessa Maria Maddalena de' Medici, sorella di Cosimo, affetta da gravi disabilità fisiche. Il museo raccoglie il meglio degli scavi di tutta la Toscana, ma anche reperti provenienti dal Lazio e dall'Umbria, con importantissimi reperti etruschi e romani, e raccolte relative ad altre civiltà, come un'importante sezione egizia e una di vasi greci, molti dei quali rivenuti in tombe etrusche, a testimonianza dei numerosi scambi commerciali nel Mediterraneo.

LA STORIA

Fu inaugurato come "Museo etrusco" alla presenza del re Vittorio Emanuele II nel 1870 nei locali del Cenacolo di Fuligno in via Faenza e comprendeva solo i reperti etruschi e romani. Presto con l'aumento delle collezioni si rese necessaria un'altra collocazione e dal 1880 fu trasferito nell'odierna sede, unendosi al "Museo Egizio", che esisteva già dal 1855. Il palazzo ebbe presumibilmente un restauro nel 1883-1884 ad opera dell'architetto Emilio De Fabris, in concomitanza con il riordino delle collezioni e il nuovo allestimento voluto dall'allora "Adiutore" Luigi Adriano Milani. Nel 1897 fu inaugurata la sezione del Museo Topografico, sempre voluta dal Milani, a illustrare la storia degli Etruschi attraverso i materiali raccolti nel corso degli scavi. All'origine delle collezioni vi sono le raccolte medicee e lorenesi, trasferite a più riprese dagli Uffizi fino al 1890 (tranne la statuaria in marmo più prestigiosa, che ancora lì si trova). La sezione egizia invece fu costituita nella prima metà dell'Ottocento sia attraverso acquisizioni di Pietro Leopoldo di Toscana, sia attraverso una spedizione promossa dallo stesso granduca nel 1828-29 dal toscano Ippolito Rosellini insieme al francese François Champollion, colui che decifrò i geroglifici. Nel 1892 fu inaugurato anche un Museo Topografico della civiltà etrusca, che andò distrutto durante l'alluvione del 1966. Nel giardino, aperto al pubblico dal 1902, furono ricostruite con materiali originali alcune tombe etrusche monumentali, prelevate dal territorio. Nel periodo della direzione di Antonio Minto il museo fu ulteriormente riconfigurato e ampliato fino ad occupare anche il secondo piano (1925). Nel 1942, poi, sempre per esigenze di spazio, fu acquistato l'edificio che si affaccia all'angolo di Piazza Ss, Annunziata, fino ad allora pertinenza dell'Ospedale degli Innocenti, nel quale fu realizzato un nuovo ingresso sulla Piazza, a lato della Basilica della Ss Annunziata. Drammaticamente colpito dall'alluvione del 4 novembre 1966 (che portò alla distruzione del Museo Topografico) l'edificio fu interessato da alcuni interventi tra il 1967 e il 1970 e quindi da un importante cantiere di restauro tra il 1984 e il 1988, su progetto e direzione dei lavori dell'architetto Bruno Pacciani.

La sezione etrusca

Situata al primo piano subì gravi danni durante l'alluvione di Firenze del 1966. Il restauro dei reperti ha occupato tutto il quarantennio successivo ed oggi, dal 2000 circa, è stato completato, anche se rimangono ancora da riformulare gli allestimenti di numerose sale. Il pezzo forte della collezione è senza dubbio la Chimera d'Arezzo, una delle più famose opere della civiltà etrusca (IV secolo a.C.), un plastico bronzo raffigurante la mitica fiera leonina, che fu restaurata da Francesco Carradori nel 1785, il quale ricostruì la coda serpentina che mordeva la testa di capra sul dorso, mentre entrambe avrebbero dovuto rivolgersi minacciose verso l'osservatore. Fu trovata in una campo vicino ad Arezzo nel 1553 e presentata a Cosimo I dal Vasari. Sulla zampa anteriore destra presenta un'iscrizione. La chimera si trova oggi esposta in una saletta (affrescata da Filippo Tarchiani) vicino al altri bronzi celebri, in particolare a un altro capolavoro del museo, la statua a tutto tondo dell'Arringatore (I secolo a.C.), ritratto del nobile etrusco Aule Meteli con la toga romana, mentre alza il braccio verso l'osservatore e l'ipotetica folla, venuto alla luce nel 1566 a Pila, nei pressi del lago Trasimeno. Nella medesima sala si trova poi una testa di giovinetto, da Fiesole, databile al 330-300 a.C. circa. Completa la sezione il bronzo della Minerva d'Arezzo, originale capolavoro etrusco di ispirazione greca, oggetto di recenti studi e analisi. Gran parte degli altri reperti riguarda soprattutto la scultura funeraria, in particolare le urnette e i sarcofagi. Tra questi ultimi spiccano l'urna in alabastro chiamata del Bottarone, dal nome del sito di ritrovamento vicino a Città della Pieve, con due figure scolpite di uomo sdraiato e donna seduta, di notevole effetto plastico e con tracce di policromia originale; il sarcofago dell'obeso (II secolo a.C.) e quello 77977, in alabastro, con il defunto recumbente sul kline a spalliera e scena dei Galati che saccheggiano il santuario di Apollo a Delfi (210 a.C. circa), entrambi da Chiusi. Il sarcofago di Larthia Seianti (II secolo a.C.) è in terracotta con eccezionali tracce di policromia e proviene da Chiusi: rappresenta una donna patrizia di alto rango, sdraiata sul triclinio che con un gesto della mano si aggiusta il velo sulla testa. Vicino è esposto anche un'urna destinata a contenere le ceberri di due defunti, con un defunto e il demone dell'oltretomba Vanth, scolpita in pietra fetida e rinvenuta a Chianciano Terme. Rarissimo è poi anche il Sarcofago delle Amazzoni (IV secolo a.C.), di marmo greco, dipinto sui quattro lati da pitture di notevole freschezza realizzate da un pittore tarantino, ed esportato in Etruria (Tarquinia) dove vennero aggiunte le iscrizioni con il nome della defunta. Numerose sono le urnette cinerarie di età ellenistica (sala IX e X) in terracotta e alabastro, provenienti da Chiusi e Volterra (urnetta con scena di banchetto). Nella sala successiva cippi e urnette in pietra fetida, decorati da bassorilievi che illustrano i rituali funebri (Chiusi, VI-V secolo a.C.); da Tuscania e Bolsena arrivano i due leoni funerari (IV e VI secolo a.C.); da Norchia parte di un frontone di una "tomba a tempio" d'età ellenistica, rara tipologia tombale attestata a Norchia da due soli esemplari ancora in situ. Nel corridoio le vetrine ospitano numerosi bronzetti votivi etruschi, di uso disparato, divisi per tipologia. In una piccola sala sono esposti gli specchi etruschi decorati a bulino, armi, elmi e corazze. Nel giardino sono state ricomposte, con materiali il più possibile originari, alcune tombe etrusche, fra le quali spicca la Tomba Inghirami di Volterra, con le urne in alabastro originarie.

LA SEZIONE ROMANA

Fra le opere più interessanti il bronzo dell'Idolino di Pesaro, statua di giovinetto alta 146 centimetri, copia romana di un originale greco-classico che fu trovata in frammenti al centro di Pesaro nell'ottobre 1530 in quella che era una residenza patrizia e che arrivò a Firenze nel 1630 come eredità e dono di nozze di Vittoria Della Rovere; questa scultura, dal basamento rinascimentale, ispirò molti artisti del periodo del Cinquecento e oggi ha trovato una suggestiva collocazione al termine della galleria del secondo piano. Interessanti è il torso di Livorno, calco romani di un originale greco del V secolo a.C. Di grande realismo è la testa bronzea del cosiddetto di Treboniano Gallo, opera tarda del III secolo. Altre sale ospitano accanto a materiali decorati etruschi, lucerne, pesi e basi romani. Notevole è anche la collezione dei cammei romani collezionati dai Medici e dai Lorena, da poco allestita nel Corridoio di Maria Maddalena.

LA SEZIONE GRECA

La collezione di ceramiche attiche è molto vasta e comprende numerose vetrine al secondo piano. Per lo più i pezzi provengono da tombe etrusche o da collezioni private acquistat oppure sono frutto di scambi ottocenteschi con la Grecia, in particolare con Atene (luogo di produzione della maggior parte dei reperti) e Rodi, e risalgono al periodo tra il VI e il IV secolo a.C. Fra i vasi più importanti il cosiddetto Vaso François, dal nome dell'archeologo che lo scoprì nel 1844 in una tomba etrusca a fonte Rotella, vicino a Chiusi, un grande cratere a figure nere firmato dal vasaio Ergotimos e dal pittore Kleitias, che riporta una serie impressionante di racconti della mitologia greca su sei file di figure, datato attorno al 565 a.C. Altre opere notevoli sono le coppe dei Piccoli Maestri (560-540 a.C.) così denominate dal miniaturismo dei ceramografi che le dipinsero, e due hydriai a figure rosse con miti di Afrodite e Adone e di Afroite e Faone, attribuite al celebre pittore di Meidias (410-400 a.C.), ritrovate in una tomba a Populonia. Tra le sculture i due kouroi dell'Apollo e dell'Apollino Milani (VI secolo a.C.) dal nome del primo direttore del Museo. Importantissimi sono anche il torso d'Atleta forse dal mare di Livorno (rarissimo esempio di calco romano di un'opera greca del V secolo a.C.) e la grande Testa Equina in bronzo del tardo IV sec. a.C. (detta testa Medici Riccardi dalla primitiva collocazione nel palazzo Medici Riccardi), frammento di una statua equestre che ispirò Donatello in due celebri monumenti di Padova e Napoli. Nelle stesse sale in cui sono esposti i due kouroi arcaici in marmo, si trovano altre opere scultoree greche, grandi e piccole, di analoga importanza.

IL MUSEO EGIZIO

La raccolta è seconda in Italia solo al Museo egizio di Torino[2], e, alloggiata in alcune sale decorate in maniera speciale al primo piano, trae origine dalle collezioni Nizzoli e Schiaparelli e dalla campagna di scavi di Ippolito Rosellini e François Champollion. Tra le altre acquisizioni, importante fu quella dei papiri provenienti dagli scavi del 1934-39. I reperti coprono molte delle attività quotidiane dell'Antico Egitto, con oggetti anche in materiali fragili come il legno, il tessuto e l'osso. L'esposizione è in corso di graduale risistemazione, privilegiando criteri cronologici e topografici piuttosto che tematici. L'epoca preistorica dell'Antico e Medio Regno è documentala da selci, vasi e stele. Fra le opere più interessanti i modelli di due servitori, la macinatrice di grano e la donna che fa la birra risalenti dell'antico regno. Nella sala successiva è esposto il pregevole ritratto femminile proveniente dalla necropoli di Al-Fayum, un celebre rilievo con scribi dalla tomba del faraone Haremhab a Saqqara, e lo straordinario è il carro da guerra o da caccia, quasi intatto in osso e legno, risalente al XV secolo a.C., trovato vicino a Tebe assieme a tessuti, cordami, mobili, copricapi, borse e ceste. Risalgono allo stesso periodo il rilievo raffigurante la dea Maat, dalla tomba del faraone Sethy I nella valle dei re, il calice di faience a bocca quadrata (due soli esemplari al mondo) e numerosi esempi di statuette e oggetti legati alla vita quotidiana. La Sala VIII è dedicata all'epoca finale della civiltà egizia e mantiene l'originale allestimento dell'ottocento. Particolarmente interessante è il corredo dalla tomba di una nutrice della figlia del faraone Taharqa (XXV dinastia) con due sarcofagi. È esposto qui anche l'involucro del corpo della donna chiamata Takherheb, in tela stuccata coperta di foglia d'oro. L'arte copta è documentata dagli scavi dell'Istituto Papirologico Fiorentino ad Antinoe, fondata dall'Imperatore Adriano nel Medio Egitto. Tra i reperti una ricca collezione di stoffe curate e restaurate dalla torinese Erminia Caudana chiamata negli anni trenta da Giuseppe Botti ad intervenire anche su numerosi papiri[3]. Sono presenti tuniche, cuffie, calzini, frammenti di decorazione e un mantello di seta, oltre a numerosi oggetti legati alla vita quotidiana o alle usanze funebri.

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